Es 1,15-22: Il coraggio di due donne (terza parte)

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Il timor di Dio presuppone la sacralità della vita. Preservare la vita di questi bambini assume priorità sull’editto omicida di una persona importante e molto potente, anche a costo delle proprie vite. Una tale non-conformità alla legge decretata da un potere umano è fondata in una teologia della creazione, dove unico Signore della vita è Dio e nessun altro potere. Il testo non parla di disobbedienza civile, ma è certo che il lettore viene invitato a riflettere su una attualizzazione di una teologia della creazione anche in campo etico-sociale.

L’ordine del faraone contro i neonati maschi tradisce una dimensione ironica. Egli, infatti, non si rende conto del fatto che uccidendo tutti i neonati maschi egli avrebbe azzerato nel tempo la forza-lavoro dei suoi schiavi; né nello stesso tempo, che questa politica si sarebbe poi ritorta contro se stesso (cf. Es 11,5). Inoltre, la sua decisione scellerata di mettere a morte i neonati maschi e salvare le femmine è messa in pericolo da chi rimane in vita. Le figlie sovvertono questa politica. Le donne, nel salvare i neonati maschi dall’angelo della morte, anticipano la Pasqua. La loro azione e la loro disobbedienza costituiscono il parallelo dell’azione salvifica di Dio che si manifesterà in tutta la sua potenza in Es 12.

Nel rifiuto delle due levatrici di cooperare con l’oppressione ha inizio la liberazione degli israeliti dalla schiavitù dell’Egitto. Le donne ricopriranno un ruolo importante anche nel corso del capitolo secondo. Il testo sembra conferire a loro un ruolo cruciale tanto da far dipendere dalla loro astuzia, dal loro coraggio e dalle loro visioni il futuro di Israele. Sono loro a fare la differenza, non solo per Israele, ma anche per Dio. Dio ha la possibilità di agire in e mediante queste donne e ciò crea la possibilità di far procedere il disegno divino nel futuro con questo popolo, possibilità altrimenti negata senza l’apporto femminile.

Dopo la risposta delle levatrici al Faraone, il narratore punta l’attenzione sulla risposta di Dio a quanto è avvenuto. Finalmente Egli viene nominato per la prima volta come soggetto agente: «Dio beneficò le levatrici. Il popolo aumentò e divenne molto forte» (v. 20). Il buon (stessa radice di «buono» di Gen 1) trattamento di Dio verso le levatrici viene esplicitamente collegato con la crescita del popolo in numero e potenza. Ciò significa che l’opera creatrice di Dio ha proprio in queste donne il loro agente. Ecco che proprio perché l’effetto del loro comportamento è adesso chiaro, si ha l’affermazione del narratore sulla crescita della loro famiglia: «E poiché le levatrici avevano temuto Dio, egli diede loro una numerosa famiglia» (v. 21). Il timore di Dio porta con sé la benedizione e la vita. L’effetto non è automatico, non si tratta di una concezione meccanicistica, bensì di una ripresa di quanto Dt 6,24 afferma, cioè risposte umane positive alla volontà di Dio in genere comportano abbondanza di vita.

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