Il comando di Dio: non mangiare…

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Dopo che Yhwh-Dio ha invitato il terrestre a custodire lavorando il giardino, ecco il nuovo ordine di Gen 2,16-17. È l’ottavo verbo: YHWH-Dio ordinò (ṣwh), eccedente rispetto al primo settenario. Qui sta la chiave di volta del racconto.

16Il Signore Dio diede questo comando all’uomo: «Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, 17ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente dovrai morire».

Notiamo subito che il comando divino abilita un altro organo sensitivo del «terrestre», quello dell’udito; precisa poi il «potere» che YHWH-Dio ha affidato all’uomo perché richiama la possibile alternativa offerta alla libertà umana, una vera e propria posta in gioco capitale di vita e di morte. È un appello alla responsabilità morale. Il termine chiave è il verbo «mangiare» ʾākal, che richiama il versetto 9, qui ripetuto ben quattro volte 1.

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Le parole di YHWH-Dio a dispetto di quanto si possa pensare, non suonano come negative. Anzi la prima parte dell’ordine è positiva 2. Vi è la concessione di mangiare (ʾākôl tōʾkēl) di «tutti» gli alberi del giardino (Gen 2,16b). YHWH-Dio inizia quindi (rac)comandando all’uomo di godere di quanto è stato dato. Su questo ordine positivo che verte sul tutto, si innesta una proibizione riguardante un albero preciso, la quale, a priori, mette al godimento del tutto un limite in perfetta sintonia con quanto il protagonista divino di Gen 1 aveva fatto. Rifiutare questo limite porta alla morte (mōt tāmût).

La costruzione di 2,17 è un parallelismo sintattico: infinito assoluto e yiqtol (ʾākôl tōʾkēl / mōt tāmût); ed esprime l’importante posta in gioco: vita o morte, legate alla scelta di osservare il comandamento, cioè di rimanere legati al Dio della vita, l’unico che può dare libero accesso alla determinazione etica della realtà e quindi all’albero della vita.

L’espressione «morire morirai» è utilizzato una dozzina di volte nell’AT, ma il suo significato non è univoco. Se la si può cogliere come una minaccia di morte, questa sfumatura però non è mai esplicitata, ed è anche possibile intenderla come un avvertimento, una messa in guardia. Nel nostro contesto può essere compresa come un annuncio di condanna, oppure come messa in guardia di fronte a un comportamento latore di morte.

Ad una lettura superficiale del testo si potrebbe pensare che YHWH-Dio proibisca all’uomo di mangiare i frutti di un albero che gli avrebbe consegnato la conoscenza del bene e del male e che quindi YHWH-Dio non voglia che l’uomo sia autonomo e maturo. Lo vorrebbe conservare per sempre in una sorta di stato infantile. L’idea di Dio che emerge è quella di un essere concorrente della libertà e maturità umana. Sarà la rilettura che il serpente suggerirà alla donna.

Questi racconti proprio perché sono eziologici, cioè indagano le origine di una situazione che l’uomo sempre sperimenta, devono essere letti alla luce dell’esperienza di fede di Israele. Essa dice che sottrarsi al comandamento di Dio porta sempre a una situazione di morte (cf. esilio). Di conseguenza qui la minaccia di morte suona come una messa in guardia un avvertimento da parte di YHWH-Dio. Rifiutare il limite equivarrebbe a esporsi a un pericolo mortale — la formula «morire morirai», infatti, permette di intendere questo secondo significato. In questo caso, lungi dal cercare di tenere per sé un sapere riguardo all’umano, riguardo a quel che è bene o male per lui, YHWH-Dio lo condivide con lui indicandogli un cammino di infelicità e di morte, per suggerirgli di evitarlo 3.

  1. La radice verbale ʾākal sarà ripetuto 21 volte = 7×3 in tutto il racconto.
  2. Cfr. A. Wénin, Da Adamo ad Abramo o l’errare dell’uomo. Lettura narrativa e antropologica della Genesi. I Gen 1,1-12,4 (Testi e commenti 14), Bologna 2008, 45.
  3. Cf. Wénin, Da Adamo ad Abramo, 45-46.

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