Un comando che libera: la chiamata di Abram di Gen 12,1

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Nel post precedente dedicato alla famiglia di Terach, avevamo visto come questa famiglia fosse arrivata al capolinea per il dispositivo di possesso bramoso messo in atto dal padre Terach che aveva stretto tutti i suoi cari in un abbraccio di morte.

Su questo dispositivo di morte scende sovrana la parola di Yhwh rivolta ad Abram:

12,1a. E disse Yhwh ad Abram:
b. «Vattene dalla tua terra e dal luogo del tuo parto e dalla casa di tuo padre,
c. verso la terra che io ti farò vedere,
2a. affinché faccia di te una nazione grande
b. e ti benedica
c. e faccia grande il tuo nome
d. e che tu sia una benedizione
3a. e che io benedica coloro che ti benediranno,
b. ma colui che ti maledirà maledirò;
c. e che in te acquistino benedizione tutte famiglie della terra».

Le parole divine sono un invito/ordine a rompere con ciò che caratterizzava l’esistenza di Abram: lasciare la terra dove si era insediato con suo padre Terach, rompere con il principio del suo “parto”, cioè con la parentela e abbandonare la casa di suo padre. L’ordine tocca le radici profonde della sua esistenza.

Non è solo però un lasciare; infatti, l’invito divino riprende un progetto la cui realizzazione era stata appena abbozzata. Invece di restate là dove suo padre l’aveva condotto, Abram deve proseguire il viaggio interrotto. È un andare oltre che strappa dal presente che abbiamo visto essere dominato da un dispositivo di morte messo in atto da Terach.

In un ottica più ampia partire per Abram significa rompere con ciò che lo legava al mondo suo fin dalla nascita, un mondo segnato dalla bramosia, dalla maledizione e dalla morte (Gen 1 – 11). Egli deve separarsi da qualcosa che crede essere suo («Vattene dalla tua terra e dal luogo del tuo parto e dalla casa di tuo padre») per ri-orientarsi verso qualcosa che è di un altro piano che Yhwh chiama «terra che ti farò vedere» (v. 1c). In sostanza Abram deve passare dall’ordine dell’«avere» e «possedere» a quello del «da vedere» dove non c’è possesso e quindi neppure bramosia.

Rompere per partire è rischiare un futuro ignoto. Abram, però non è solo, la sua avventura ha Dio come partner. A questo proposito tre sono gli elementi da sottolineare.

  • Per prima cosa l’avventura ha un lato profondamente relazionale: al posto dei tre aggettivi possessivi «tuo» del v. 1b, viene annunciata una relazione «io – tu» in 12,1c-2 e poi un po’ più oltre un’altra relazione del tipo «io – tu – essi» (v. 3). C’è una pluralità di soggetti che interagiscono arricchendo la vita del patriarca.
  • Un secondo elemento che dà consistenza al primo è che per Abram partire dando ascolto alla parola di Yhwh, significa farlo sulla base della fiducia. Abram si fida di Yhwh. C’è, però, da osservare che la fiducia precede Abram. Infatti Yhwh rivolgendogli la sua parola, gli dà fiducia, tanto da osare mettergli in mano il suo sogno di benedire tutte le famiglie della terra. C’è fiducia che chiama fiducia.
  • Infine, terzo elemento, l’ordine di Yhwh chiama alla separazione. Il lettore attento sa che la creazione è stata una ritmata sulla separazione e che da essa è fluita la vita stessa. Può quindi attendersi dalla separazione di Abram possibilità di una ripresa della vita.

Le parole di Yhwh costituiscono Abram un eletto. L’elezione in Gen 12,1 appare come un ordine impartito da Yhwh. Ordini simili il lettore li aveva già ascoltati al momento della creazione («Sia la luce…; sia il firmamento… ecc. Cf. Gen 1). Qui ricompare perché Dio cerca di mettere ordine nel “caos” nelle relazioni violente in cui sono caduti gli uomini a causa del loro desiderio senza limiti e registrate dal racconto nei capitoli precedenti.

L’elezione, poi, non si presenta come una scelta dichiarata o l’affermazione di una preferenza arbitraria. Non c’è nulla di questo nelle parole di Yhwh e nel racconto. Al contrario per Abram l’elezione costituisce piuttosto un compito, perché è invitato a andarsene, a diventare libero rifiutando la bramosia in cui l’aveva stretto suo padre Terach. Questo è il senso dell’imperativo «vattene», letteralmente «va’ per te» (lek -le), dove un imperativo lek è seguito da un dativo etico (le) 1. Lo si potrebbe rendere così: «Per il tuo bene [va’ per te] lasciati alle spalle il tuo passato; entra in te stesso [va’ in te], nell’intimità della tua coscienza, verso la scoperta del “mio” progetto su di te [va’ verso di te], e perciò della tua vocazione autentica».

In sostanza si tratta di un imperativa con valore riflessivo, cioè l’azione che viene messa in atto riguarda lo stesso soggetto che la pone, ossia Abram invitato ad “portare via” se stesso per provare a diventare uomo libero, lontano dalla bramosia di Terach.

C’è una ragione per questa partenza? Certamente! Sta nei versetti 2-3 che vedremo nel prossimo post.

  1. Wenham, Genesis 1-15, 247

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