Diluvio 09 – Noè, i figli e l’alleanza

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Nei primi diciassette versetti del capitolo nono della Genesi, va in scena l’alleanza tra Dio e l’umanità “nuova”, rappresentata da Noè e dai suoi figli.

Il testo, di fattura sacerdotale, contiene quattro discorsi di Dio rivolti a Noè, uscito dall’arca. Sono parole che esprimono la fiducia che il diluvio costituisce oramai un evento passato e irripetibile perché Dio ha preso la decisione di non distruggere mai più la terra (cfr. Gen 8,20-22). In questo modo, dopo aver creato il mondo (Gen 1) e aver messo in mano all’uomo il dono della libertà (Gen 2-3), dopo aver visto che l’uomo si è rivolto contro di Lui e contro il proprio fratello (Gen 4 e 6), Dio ha deciso che distruggere la sua creazione non serve (Gen 7-8); il mondo verrà salvato!

I versetti sono ritmati dalla formula introduttiva del discorso diretto, «Dio parlò…» (v. 1) a Noè, «Dio disse…» (vv. 8.12.17), che li struttura in benedizione di Dio e riconoscimento della sovranità di Dio da parte dell’uomo (vv. 1-7); alleanza, berit, sancita con ogni essere vivente (vv. 12-17); segno dell’alleanza, l’arcobaleno; formula conclusiva (v. 17).

Dio e la nuova umanità: 9,1-17

Per prima cosa Dio riconosce la presenza del male, ma conferma ma conferma a Noè la stessa promessa fatta ai primi uomini in Gen 1,28, ripetendo le medesime parole in 9,1: «Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite la terra», ripetuta a mo’ di inclusione al termine del primo discorso (v. 7)[note]Cf. Wenham, Genesis 1-15, 192.[/note]. La prima parola di Dio a Noè dopo il diluvio è caratterizzata dalla benedizione, da una promessa di vita e di fecondità, nonostante il peccato dell’uomo, ripreso nel testo come «timore e terrore» che l’uomo oramai incute al mondo animale (v. 2). Viene ribadito che gli animali, i rettili e i pesci, sono messi nelle mani dell’uomo, ma non si può non registrare un’animosità e ostilità tra l’uomo e il mondo animale conseguenza della caduta (cf. 3,15) e ancor più dopo il coinvolgimento del mondo animale nel diluvio, causato dalla violenza dell’uomo. Dopo il diluvio c’è una radicale differenza rispetto Gen 1[note]Cf. Wénin, Da Adamo ad Abramo, 139-140.[/note].

Questo è confermato dal cambio di dieta: viene ribadito che l’uomo può cibarsi delle verdi erbe (9,3b; cf. 1,29), ma si dà la possibilità anche del cibo carneo (v. 9,3a), imponendo però una proibizione: non mangiare la carne con la sua vita, ossia il sangue (v. 4). È la legge del sangue presente nel libro del Levitico (cf. Lv 17,11-14 e Dt 12,23) e osservata ancora oggi nel mondo ebraico: gli ebrei non mangiano il sangue degli animali uccisi proprio in base a queste norme contenute nella Torà. Anche per questa norma è applicato il principio di antichità: essa viene fatta risalire alla storia primordiale per renderla normativa e vincolante[note]Sull’origine della proibizione cf. Westermann, Genesis 1-11, 464-465.[/note].

Vita e sangue

Per l’AT il sangue è simbolo della vita stessa e il non mangiare la carne con il sangue equivale ad affermare che la vita appartiene a Dio. Ecco allora che quella violenza necessaria per il mantenimento in vita degli uomini (l’uccisione degli animali) è vista come una concessione che Dio fa, e che proprio la legge del sangue contribuisce a ricordare agli uomini come tale. Il termine «vita» traduce quello ebraico nefeš, con il quale si indica la realtà intima, profonda, di un essere vivente. Il sangue rappresenta perciò l’«altro» visto nella sua individualità, nella sua intimità. Non mangiare il sangue significa perciò esprimere la propria volontà di accogliere l’altro (animali per primi!) nella sua identità e di rinunciare a quella violenza che vorrebbe invece distruggere l’altro e appropriarsene, mangiandolo[note]Cf. A. Wénin, Non di solo pane… Violenza e alleanza nella Bibbia (Epifania della Parola 6), Bologna 2004, 71-75.[/note].

Sacralità della vita

La legge del sangue si applica preminentemente all’uomo, ecco che quindi i vv. 5-6 contengono la solenne proibizione di versare il sangue di un essere umano; la sacralità della vita è qui direttamente legata all’idea che ogni uomo è immagine e somiglianza di Dio (v. 6b). Il testo ripete quanto già detto in Gen 1,26; la sacralità di Dio è garanzia della sacralità della vita umana. Al v. 5 Dio per tre volte usa il verbo «domandare conto» (dāraš) in un crescendo: domanderà conto «alla mano di ogni animale» che uccide un uomo (cf. Es 21,28-29)[note]Cf. Wenham, Genesis 1-15, 193; Westermann, Genesis 1-11, 466.[/note]; alla mano dell’uomo che ne uccide un altro e a quella di ognuno che uccide suo fratello. È evidente il riferimento alla storia di Caino che aveva una bestia accovacciata alla sua porta la quale lo spinse a colpire a morte suo fratello[note]Per A. Cassuto, A Commentary on the Book of Genesis 1-11, Jerusalem 1961-1964, 127 chiunque uccida un uomo è uguale a Caino; Wenham, Genesis 1-15, 193 annota che qui ritorna per la prima volta il termine «fratello» (ʾāḥ) dopo la storia di Caino e Abele (Gen 4,1-16.[/note]. La prima parte del v. 6 è costruito con una simmetria cristallina e probabilmente è una antica formulazione poetica:

Chi sparge il sangue              dell’uomo
dall’uomo                             il suo sangue sarà sparso

Due sono le possibilità di lettura di questa sentenza: la si può considerare un proverbio, e la forma letteraria così cesellata lo fa pensare[note]Cf. Skinner, Genesi, 171; McEvenue, The narrative style of the priestly writer, 70, vi scorge una struttura chiastica tipica dell’andamento dei proverbi.[/note], di conseguenza essa enuncia una legge nata dall’esperienza secondo la quale la violenza genera altra violenza e torna, un giorno o l’altro, come effetto boomerang, su chi l’ha scatenata. Ricordiamo altri proverbi di questo tenore: Chi semina vento raccoglie tempesta (cf. Os 8,7); Gesù dirà a Pietro: «Tutti quelli che prendono la spada, di spada moriranno» (Mt 26,52).

Oppure si tratta di una formulazione poetica concisa della legge del taglione, espressa nella sua forma classica in Es 21,23-25 e Lv 24,19-20[note]Cf. Wenham, Genesis 1-15, 193; Wénin, Da Adamo ad Abramo, 141. Per McEvenue, The narrative style of the priestly writer, 71, Gen 9,6 si avvicinerebbe molto di più a Lv che a Es e Dt 19,21. G. von Rad, Genesi (Antico Testamento 2/4), Brescia 1978, 167 afferma che Gen 9,6 sembra «un’antica sentenza, proveniente dal linguaggio giuridico sacrale».[/note]:

23Ma se segue una disgrazia, allora pagherai vita per vita: 24occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede, 25bruciatura per bruciatura, ferita per ferita, livido per livido.

La legge del taglione, contrariamente all’opinione comune, non è pura vendetta, al contrario tenta di stabilire una certa giustizia, dato che impone un limite alla vendetta, regolandola tramite un principio di proporzionalità tra delitto e sanzione (principio completato più avanti da quello del compenso)[note]La vendetta non può essere fatta senza misura. Su questo cf. von Rad, Genesi, 165-166.[/note]. Resta assodato comunque che la legge del taglione rimane imperfetta, perché ha solo la violenza da opporre alla violenza. Preoccupata di proteggere la vita, la legge del taglione finisce per ucciderla. C’è, come ha evidenziato Beauchamp, un profondo paradosso: la legge viene data per limitare e circoscrivere quello che accetta. Lungi dall’eliminare la violenza, cede alla violenza per poterla contenere. Il suo scopo è quindi quello di mettere una sordina per guadagnare tempo: il tempo di trovare altre vie d’uscita, di inventare altri modi più umani di vivere con se stessi e di coesistere insieme; il tempo anche di far memoria della vocazione umana originaria[note]P. Beauchamp, Le récit, la lettre et le corps (Théologie et sciences religieuses. Cogitatio Fidei), Paris 1982, 256-268.[/note].

Un’alleanza con tutti gli uomini

colors-185425_1280Il discorso divino si conclude riprendendo in parte le parole iniziali: «E voi, siate fecondi e moltiplicatevi, siate numerosi sulla terra e moltiplicatevi in essa» (9,7). C’è una variazione della mia traduzione rispetto a quella proposta dalla CEI perché conservo il testo ebraico[note]La traduzione della CEI del 1974 e del 2008 segue l’emendamento proposto dalla Biblia Hebraica di Kittel e dalla BHS che propongono di emendare il verbo «moltiplicare» (rābâ) con il verbo «dominare» (rādâ). L’emendamento viene proposto prendendo come testo di riferimento Gen 1,28 («…riempite la terra; soggiogatela e dominate [rādâ]»). Così Skinner, Genesi, 171; Speiser, Genesis, 57; R. Alter, Genesis: Translation and Commentary, New York 1996, 39; R.S. Hendel, The Text of Genesis 1-11: Textual Studies and Critical Edition, Oxford 1998, 57.[/note]. La mia proposta è attestata dalla traduzione greca dei Settanta e presenta una struttura poetica equilibrata[note]Sulla struttura del v. 7 cf. B. Porten – U. Rappaport, Poetic Structure in Genesis IX 7, in Vetus Testamentum 21 (1971), 363-369. Wenham, Genesis 1-15, 155 ritiene la modifica ingiustificata; Westermann, Genesis 1-11, 460, mantiene il TM.[/note]: «E voi, siate fecondi e moltiplicatevi, siate numerosi sulla terra e moltiplicatevi in essa». Accettata la lezione del TM di Gen 9,7, confrontiamo il v. 7 con il v. 1:

9,1:  Dio benedisse Noè «Siate fecondi, moltiplicatevi e riempite (mlʾ) la terra»
9,7: «E voi, siate fecondi e moltiplicatevi, crescete grandemente (šrṣ) sulla terra e moltiplicatevi (rbh) in essa».

È subito evidente che il comando di «riempire» (mlʾ) la terra di 9,1 viene ripreso in 9,7 dall’espressione «crescete grandemente (šrṣ) sulla terra e moltiplicatevi (rbh) in essa». I verbi «abbondare» (šrṣ Gen 1,22; 9,7) e «moltiplicare» (rbh Gen 9,7) sono interscambiabili con il verbo «riempire» (mlʾ Gen 9,1) e questo suggerisce l’idea che l’umanità è chiamata a riempire la terra moltiplicandosi e crescendo in essa. Ciò sarà evidente in Gen 10 con la tavola dei popoli[note]Cf. Tadiello, La dispersione, 139. Westermann, Genesis 1-11, 469.[/note].

In questi versetti il giudaismo rabbinico vi ha letto il valore universale dell’alleanza noachica, una specie di religione cosmica accessibile a ogni essere umano anche perché Noè non è presentato come un israelita. Il trattato bSanhedrin 56a del Talmud individua sette precetti, chiamati la legge noachica, che valgono per ogni essere umano: ogni uomo deve stabilire la giustizia, non maledire Dio, rigettare l’idolatria, astenersi dall’incesto, dall’omicidio, dal rubare, dal sangue[note]Una formulazione diversa l’abbiamo nel Libro dei Giubilei (7,20ss) scritto verso il II sec. a.C.: «Rispettare la giustizia, il pudore, benedire il Creatore, onorare il padre e la madre, amare il prossimo, astenersi dalla fornicazione e da ogni impurità, astenersi dall’iniquità». Cf. Westermann, Genesis 1-11, 469; Bianchi, Adamo, dove sei?, 269-270.[/note].

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