Salmo 129: supplica e benedizione

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La struttura del salmo è molto semplice: dopo il titolo (v. la) il salmista evoca nei vv. 1b-4 il passato doloroso per poi supplicare il Signore per un futuro migliore nei vv. 5-8a. Il tutto si conclude con una benedizione finale (v. 8b).

Testo

Dalla giovinezza

Il salmo inizia ex abrupto con un ritornello: «Quanto mi hanno perseguitato fin dalla giovinezza – lo dica Israele». Il popolo d’Israele viene personificato nel pellegrino orante al tempio, la vita di quest’ultimo, carica di dolori, lotte e oppressioni, è un’allegoria della storia d’Israele. A questo proposito il padre della Chiesa Giovanni Crisostomo afferma che Dio ha voluto che i giudei fossero ora vinti, ora vincitori, perché questo servisse loro come istruzione; ma non ha mai permesso che questo popolo eletto fosse distrutto.

L’espressione «dalla giovinezza» è con probabilità un’allusione all’esperienza dell’esodo e nelle parole «ma non hanno prevalso» (v. 2) c’è la constatazione con un senso di orgoglio, a nome d’Israele, di non essere stato schiacciato e annullato definitivamente dai nemici. Tutto questo è avvenuto solo per grazia di Dio, appunto come lo stesso popolo ha sperimentato durante la schiavitù dolorosa in terra di Egitto.

L’orante usa un’immagine molto forte quando afferma che «sul mio dorso hanno arato gli aratori» (v. 3). Richiamandosi al simbolo agricolo dell’aratura, egli ricorda la flagellazione e la devastazione della guerra, cosi come molti profeti l’hanno descritta (vedi il profeta Michea 3,12; Isaia 50,6; 53,4-5). Inoltre la lacerazione del dolore è resa dall’autore con la figura retorica dell’allitterazione: «hanno arato gli aratori» (ḥaršu ḥoršîm).

Al v. 4 la causa della sopravvivenza a tante angherie e oppressioni è individuata nel Signore, che è giusto, vale a dire fedele alla parola data ma soprattutto alla sua alleanza (Sal 7,10.12; 51,6; 119,37). Egli ha «spezzato il giogo degli empi». Di conseguenza non vi è nessun altro in cui riporre la propria fiducia. Solo di Yahvè, Dio d’Israele, ci si può fidare! Notiamo qui l’antitesi tra «giusto» ed «empi» nello stesso versetto. Il giusto è il Signore che salva le vittime innocenti, come dice Isaia (45,21): «Non sono forse io, il Signore? Fuori di me non c’è altro Dio. Dio giusto e salvatore».

Nella interpretazione ecclesiale di tipo cristologico questi primi quattro versetti sono stati letti come anticipazione della varie persecuzioni aperte e subdole, morali e fisiche subite da Gesù, della sua passione e risurrezione («non hanno prevalso»). Gesù fu perseguitato fin dalla nascita (cf. l’episodio della strage degli innocenti e la sua fuga in Egitto: Mt 2,13-16.20). Durante la sua vita pubblica più volte nei vangeli si legge «cercavano di prenderlo» (Gv 7,30). Nella sua passione fu realmente preso, legato e tradotto dall’uno all’altro tribunale (cf. Gv 18,24). La frase del salmo: «sul mio dorso hanno arato gli aratori», prefigura la flagellazione (Gv 19,1; Mt 27,26). I flagelli dovettero davvero, scavare solchi nella sua carne.

Una fedeltà durevole

Nei vv. 5-8 l’orante esprime la certezza che Dio continuerà a proteggere lui e Israele. Ecco allora che con una supplica di carattere imprecatorio gli chiede, proprio perché giusto, di fare giustizia, vale a dire di confondere e mettere in rotta anche per i giorni avvenire quanti lo odiano insieme al suo popolo. I nemici devono seccare come l’erba dei tetti (vv. 6-7) e non devono ricevere su di loro la benedizione di Dio (v. 8).

Nell’espressione «si vergognino e volgano le spalle» (v. 5) il verbo bûš «vergognarsi» abbraccia sia l’aspetto psicologico della vergogna che quello oggettivo in riferimento all’insuccesso o alla sconfitta subita. La frase  «quelli che odiano Sion» si riferisce a tutti coloro che odiano il Signore, il suo tempio e il suo popolo. Qui Sion è citata perché il luogo in Gerusalemme dove è presente la casa di Davide e il tempio del Signore, ove si raccoglie il popolo a pregare (Sal 51,20-21). Si ricorda la parte per il tutto.

I nemici

Nei vv. 6-8 sono usate due immagine per descrivere il rapido annientamento dei nemici di Dio e del suo popolo. La prima immagine è quella dell’erba dei tetti, probabilmente si tratta di gramigna, prima che sia strappata già è secca sotto il sole del primo caldo estivo, perché non ha radici. È inconsistente, così sono i nemici di Dio. Ad essa segue l’immagine del grano prematuro, che falciato si rivela inservibile, poco consistente, per non aver maturato il seme nella spiga. Questo grano fasullo non potrà riempire «la mano del mietitore» mentre lo falcia, né colmare il grembiule di quello che lo raccoglie in covoni. Il paragone evidenzia l’inutilità dei nemici. Ecco allora che per essi non c’è alcuna benedizione del Signore (v. 8), quella stessa che auguravano i passanti ai mietitori come fece Booz, nel racconto del libro di Rut, arrivando da Betlemme quando disse: «Il Signore sia con voi!» (Rt 2,4).

Lo stesso Gesù ha usato l’immagine della messe escatologica (cf. vv. 6-7). Egli ha detto di aspettare la mietitura per separare il grano dalla zizzania (cf. Mt 13,20). Nel v. 7 l’immagine della mietitura può rievocare anche quella di Ap 14,16 ove è scritto che «colui [l’angelo] che era seduto sulla nube lanciò la sua falce sulla terra e la terra fu mietuta». Il salmo può richiamarci anche alla situazione della chiesa perseguitata, che è assistita da Cristo (cf. Ap 12,17).

Una benedizione rovesciata

L’ultimo versetto del Salmo (v. 8) è passabile di più di una interpretazione. Se lo leggiamo come fa la traduzione della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), ovvero tutto legato, abbiamo che il salmista attenua la formula della maledizione. Dire infatti, che non è possibile benedire è un modo per maledire – ma con un certo ritegno – quasi esercitando moderazione nei confronti dei forti sentimenti provocati da questa confessione (Stancari). Il testo ebraico però permette di staccare l’ultima frase del salmo:

«I passanti non possono dire: “La benedizione del Signore sia su di voi”.
Ma noi vi benediciamo nel nome del Signore» (v. 8).

In questo caso abbiamo letterariamente un capovolgimento inaspettato, un ribaltamento della sorte. Parafrasando con Stancari possiamo dire: I passanti non possono benedirvi, ma noi vi benediciamo. È uno scarto sorprendente. È come se si dicesse: Basta così! Noi vi benediciamo ugualmente nonostante tutti i vostri inganni. Il salmista anticipa qui l’insegnamento che Gesù darà ai suoi discepoli a proposito dei nemici da accettare anzi da amare:

«43Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. 44Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, 45affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti» (Mt 5,43-45).

Il benedire o il pregare, come dice Gesù, per i propri nemici ha come fonte ispirativa la perfezione del Padre che possiamo esplicitare così: Dio è Padre di tutti perché è creatore di tutte le creature anche di quelle che tramano e producono scandalo. Se Egli continua a sostenerle, nonostante i loro progetti malvagi, è perché non viene meno alla sua promessa di essere il Dio della vita. Comunque, ciò non significa che non vi sarà un giudizio. Esso è stato espresso chiaramente nel corso del salmo con le immagine dell’erba dei tetti e del grano immaturo. Dio però continua a sperare e prova ne è la vita che concede. Questa è la sua benedizione.

Grazie questa nuova ottica finale diventa significativa l’espressione «non hanno prevalso» del v. 2b. Essa può riferirsi ai vari tentativi falliti di catturare Gesù. Difatti «nessuno lo arrestò, perché non era ancora venuta la sua ora» (Gv 8,20). Ma può alludere anche alla sua vittoria sulla morte con la sua risurrezione, che meglio può intravedersi nell’altra espressione «Il Signore […] ha spezzato il giogo degli empi» (v. 4). Infatti il Padre non permise che i nemici prevalessero su di lui e spezzò il giogo degli empi, risuscitandolo dalla morte, «perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere» (At 2,24). Gesù, come il salmista, ha conservato la pazienza e la speranza, ma non si è ribellato, né tanto meno ha imprecato, a differenza dell’orante. Egli sapeva che i suoi veri nemici (peccato e morte) sarebbero stati debellati!

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