Lo sguardo di Abram: Gen 13,14-18

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Aver frapposto una distanza fra Abram e Lot non è certo la soluzione ideale, ma ha il vantaggio di proteggere chi si riconosce «fratelli» da una situazione potenzialmente generatrice di violenza e di morte di cui il racconto genesiaco ha dato ampio resoconto al capitolo quarto.

La telecamera narrativa si sposta su Abram che, dopo la scelta di Lot, abita «in terra di Canaan», quella nella quale è immigrato partendo da Carran e dove è rientrato dopo essere “salito” dall’Egitto (v. 12a). Ha fatto esperienza che pur essendo una terra vasta è altresì una terra soggetta a carestia, non è quindi una terra perfetta. Accentando di viverci, accetta quindi il suo “limite” o “mancanza”. È una lettura possibile che concorda con l’atteggiamento assunto da Abram nei confronti di Lo e con l’opposizione che la narrazione costruisce tra i due. Leggiamo il testo:

14E Yhwh disse ad Abram dopo che Lot si fu separato da lui: «Alza, ti prego, gli occhi e vedi dal luogo dove stai verso il nord e verso il sud e verso l’oriente e verso l’occidente. 15Sì! Per quanto riguarda tutto il paese che stai vedendo, a te lo darò e alla tua discendenza per sempre. 16E renderò la tua discendenza come la polvere della terra che, se un uomo potrà contare la polvere del paese, anche la tua discendenza potrà essere contata. 17Alzati, percorri il paese nella sua lunghezza e nella sua larghezza, perché a te lo darò». 18E piantò la tenda Abram e andò e abitò alle querce di Mamre, che (sono) in Ebron e costruì là un altare a YHWH.

In questa terra “limitata” Yhwh parla ad Abram per la terza volta e il narratore precisa che lo fa «dopo che Lot si fu separato da lui» (v. 14a). Con finezza e suggestione narrativa il narratore adotta il punto di vista di Yhwh perché la frase rinvia all’invito di Abram nel quale Lot è il soggetto del verbo («Separati, ti prego, da contro me» v. 9a) e non alla separazione stessa nella quale entrambi sono soggetto (v. 11b: «Si separarono l’uno da contro suo fratello»). In questo modo Yhwh risponde all’iniziativa che Abram ha adottato nei confronti di Lot. Tuttavia c’è un impercettibile cambiamento rispetto al parlare di Abram legato all’uso della preposizione: Abram proponeva di evitare lo scontro separandosi mēʿal, «da contro», Lot; da parte sua, Dio vi vede una separazione mēʿîm, «da con» lui, nel senso che in essa Abram si priva del «fratello» che lo accompagna, ma anche di un potenziale erede1.

Nel suo precedente discorso, in 12,7, Yhwh aveva confermato il suo discorso-programma (cfr. 12,1-3), precisandolo su due punti: «Alla tua discendenza darò questo paese». Questo terzo discorso riprende i precedenti conferendo loro un’ampiezza inaspettata.

Alza, ti prego, gli occhi e vedi dal luogo dove stai verso il nord e verso il sud e verso l’oriente e verso l’occidente. 15Sì! Per quanto riguarda tutto il paese che stai vedendo, a te lo darò e alla tua discendenza per sempre. 16E renderò la tua discendenza come la polvere della terra che, se un uomo potrà contare la polvere del paese, anche la tua discendenza potrà essere contata. 17Alzati, percorri il paese nella sua lunghezza e nella sua larghezza, perché a te lo darò

Yhwh invita Abram a fare quanto ha fatto il nipote:

v. 10 E alzò gli occhi Lot e vide tutto il distretto del Giordano…
v. 14 Alza gli occhi e vedi… verso i quattro punti cardinali.

La somiglianza delle proposizioni mette in risalto un contrasto, perché Lot guarda in una solo direzione – quella che eccita il suo desiderio – e verso un orizzonte limitato e concluso,  il «distretto» (kikār), invece l’invito a guarda di Yhwh è panoramico: è rivolto verso tutti e quattro i punti cardinali, a partire dal luogo in cui si trova2. Inoltre si compie la parola di Yhwh di Gen 12,1 a proposito di quanto diceva del «paese che ti farò vedere». Abram apprende definitivamente che la sua meta è proprio Canaan e con lui lo avverte il lettore, che grazie alle indicazioni geografiche, è collocato al centro del paese.

Non c’è più solo il vedere «tutto il paese» (v. 15a) perché ora esso è oggetto di una promessa non più solo riservata alla discendenza, come in Gn 12,7, ma sarà anche per lo stesso Abram e lo sarà «per sempre»3. Di conseguenza Abram non deve scegliere un luogo particolare ma viene introdotto nella dimensione dell’attesa che il dono gli venga offerto.

C’è pure una promessa per la discendenza: questa sarà numerosa, come ben evidenzia la metafora della polvere che non può essere contata. In precedenza Yhwh aveva parlato della discendenza, ma i termini era vaghi. Infatti in Gn 12,2 aveva affermato: «Io farò di te una grande nazione»; oppure vi aveva fatto cenno solo indirettamente (cfr. 12,7). Qui essa è oggetto di una promessa esplicita e carica di vita.

In questo terzo discorso di Yhwh c’è quindi uno sviluppo delle promesse che avviene, come si evince dal contesto, quando Abram rinuncia. C’è una sorta di legge del contrappasso in positivo: il rifiuto della cupidigia presente nelle parole di Abram a Lot riguardanti la terra – poiché lascia al nipote la scelta – e la separazione dal «figlio di suo fratello» possibile erede, sono “compensate” dalla promesse divini circa «tutto il paese» e la discendenza numerosa.

Trattandosi di un dono Yhwh invita Abram a “scartarlo”, per questo gli comanda di percorrere «il paese nella sua lunghezza e nella sua larghezza» (v. 17). Il verbo usato è lo stesso del comando iniziale hālak, «andare», (cfr. 12,1), solo che ora la coniugazione è diversa (hitpael). Per Abram non si tratta più di partire, di abbandonare un luogo per un altro, ma di «andare e venire», di rimanere aperto su un orizzonte più vasto. Il verbo alla coniugazione hitpael era già comparso in precedenza. In 3,8 il narratore lo impiega per ritrarre il movimento di Yhwh-Dio alla ricerca del terrestre nel giardino, mentre in 5,22.24 lo sua per Enoc che «cammina con Dio» e che dopo 365 anni viene rapito, per così dire, da Dio che lo tiene presso di sé. Infine, in 6,9 descrive la giustizia e l’integrità di Noè che «va e viene con Dio». Enoc e Noè sono due uomini giusti che hanno sincronizzato il loro passo con quello di Dio. Qui Yhwh invita Abram a fare lo stesso? Non è possibile dire di più ma Dio l’Onnipotente riprenderà questo verbo in 17,1 spiegando poi quello che comporata «andare e venire» davanti a Lui.

Abram non replica al discorso di Yhwh e neppure sembra obbedirgli; infatti, se da un lato resta nomade perché pianta la tenda, il narratore non racconto di Abram che percorre il paese «nella sua lunghezza e nella sua larghezza», ma pianta la tenda e si stabilisce «alle querce di Mamre che sono in Ebron». Più avanti si scoprirà che questo Mamre è un abitante del paese, un amorreo (cfr. 14,13). Il toponimo Ḥeḇrôn, «Ebron», deriva da una radice verbale che significa «essere legato» o «associato»4. Dopo la ripresa della promessa del dono della terra, Abram va ad abitare presso un cananeo, uno che non conosce Yhwh e qui erige il suo terzo altare a Yhwh (cfr. 12,7.8). Sancisce così che il suo legame con Lui non viene scalfito dall’abitare presso gli abitanti del luogo. Non c’è concorrenza.

  1. Cfr. Wénin, Abramo e l’educazione divina, 49.
  2. R. Alter, Genesis: Translation and Commentary, W.W. Norton & Co., New York 1996 [Kindle Edition], pos. 1709, sottolinea la diversità dello sguardo dei due.
  3. Da punto di vista della costruzione sintattica al v. 15 si ha una proposizione doppia dove la protasi («Tutto il paese che tu stai vedente») è un casus pendens, mentre l’apodosi lo riprende con il pronome suffisso al verbo nātan, «dare» («a te lo darò»). Tale costruzione enfatizza il dono.
  4. Cfr. HALOT, 289.

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