Le donne e la passione secondo Marco – 02

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Le donne che guardano da lontano

La seconda figura femminile è plurale sono un gruppo di donne di cui Marco dice che osservano da lontano. Gesù è morto e il centurione ha proclamato che egli è «il Figlio di Dio». Le sue parole assumono un valore peculiare perché in tutto il vangelo egli è il solo essere umano ad impiegare il titolo «Figlio di Dio»: l’identità di Gesù, anticipata per il lettore nel prologo dell’opera (1,1), viene riconosciuta, non grazie ad esorcismi, prodigi, guarigioni, ma sul Golgota nel momento della morte. Il centurione però impiega un verbo al passato, “era”. Marco sembra indicare al suo lettore che, sebbene la confessione del centurione sia importante, non è tuttavia sufficiente perché non apre al futuro. Qui entra in gioco la piccola comunità di donne che assumono il ruolo di testimoni: di esse Marco dice che «osservavano da lontano» (15,40). Tre di loro vengono identificate: Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Joses, e Salome. Poi, in una specie di inciso, l’evangelista annota: «Le quali, quando era in Galilea, lo seguivano e lo servivano, e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme».

I dati sono che un gruppo di donne seguiva Gesù e tra queste ci sono le tre nominate. Al lettore attento non può sfuggire che questo rimanda all’inizio dell’attività pubblica di Gesù, quando c’era il gruppo dei discepoli e tra questi tre sono legati in modo particolare al Maestro: Pietro, Giacomo e Giovanni (cfr. 5,37; 9,2; 15,33). Il rapporto discepoli/discepole è ulteriormente sottolineato dai verbi impiegati per tratteggiare l’identità delle tre donne: «… lo seguivano e lo servivano, e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme» (15,41).

Il verbo seguire (akolouthéō) è il verbo del discepolo. Infatti descrive la risposta dei primi discepoli (cf Mc 1,18) e quella di Levi (2,14.15) alla chiamata di Gesù; è impiegato da Gesù nel suo insegnamento sul discepolato: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (8,34). Ora è impiegato all’imperfetto, il tempo della continuità. Ciò significa che le tre donne hanno iniziato un percorso di sequela in Galilea agli inizi del ministero pubblico di Gesù e lo hanno proseguito, fedelmente, fino alla croce.

Il secondo verbo è «servire» (diakonéō). Molti qui hanno frainteso attribuendo a questo verbo solo la dimensione del servizio domestico o dell’assistenza economica a Gesù e al suo gruppo di discepoli (cf. Lc 8,1-3). Marco però precisa che servono lui e ciò rimanda a un significato più profondo. Gesù stesso lo impiega quando chiarisce la propria identità e missione: «Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (10,45). Esso poi qualifica il servizio degli angeli verso Gesù (1,13); quello della suocera di Simone (1,31) e delle donne (15,40-41).

Il terzo verbo «salire» lo ritroviamo in bocca a Gesù quando alla testa dei suoi li guida verso Gerusalemme, mentre annuncia quale sarà là il suo destino: «Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e agli scribi; lo condanneranno a morte … e dopo tre giorni risorgerà» (10,33-34).

In sintesi, seguire Gesù, servirlo, salire con lui verso Gerusalemme sono le note caratteristiche del discepolato di Marco (cfr. 8,34; 9,52). Non basta quindi professione di fede del centurione: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!» (15,38), perché rischia di essere solo consegnata al passato, come il verbo era suggerisce, c’è bisogno che la professione di fede sia impastata dalla sequela quotidiana, ben raffigurata narrativa mente dalle donne (che seguivano e lo servivano, e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme), che comprende il servizio d’amore e il sì alla croce. Sul calvario la croce rivela il/la discepolo/a a se stesso/a, educandolo a «pensare secondo Dio» (8,33), operando la scelta tra «l’amore di sé fino alla dimenticanza di Dio o l’amore di Dio fino alla dimenticanza di sé» (S. Agostino, De Civitate Dei, XIV,28).

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