Gen 1,26-31: Facciamo l’uomo – 04

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Come realizzare la somiglianza?

Il terrestre, maschio e femmina, è stato appena creato quando Dio, riprendendo la parola, li benedice (v. 28). Notiamo subito che Dio «disse a loro», ciò significa che la sua benedizione non è muta come quelle precedenti, ma dia-logica: «E disse loro», per cui il terrestre, in quanto diverso dagli animali terrestri, è capace di ascoltare la parola di Dio. Nella benedizione poi il personaggio divino gli affida un compito che viene espresso così:

²⁸Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, dominate il pesce del mare e il volatile del cielo e ogni vivente strisciante sulla terra.

I primi tre verbi sono comuni con gli altri esseri viventi (cf. Gen 1,22) ma gli ultimi due marcano uno deciso stacco: «soggiogatela (la terra) e dominate …» (v. 28).

Notiamo che il verbo dominare è presenta nelle parole del progetto di Dio (v. 26) e non solo segue l’espressione «come nostra somiglianza», ma forse la esplicita1, nel senso che è nell’intenzione divina che il terrestre domini sugli animali e sulla terra (v. 26b).

Se per un momento consideriamo il personaggio divino, non sfugge la sua capacità di dominare il caos, ordinandolo, e le creature, esplicitando quello che sono chiamate ad essere. Di conseguenza se Dio affida al terrestre il compito di dominare la terra, gli ordina implicitamente di agire come Lui, vale a dire a sua immagine. Lungo la strada del dominio il terrestre è chiamato a dare compimento alla sua immagine somigliante di Dio.

Quale dominio?

Il verbo dominare suona male agli orecchi dei lettori contemporanei, specialmente in un epoca in cui l’umanità ha preso coscienza del disastro ecologico che essa stessa ha prodotto; eppure Dio impiega i verbi «dominare» e «sottomettere» che indicano l’uso di una certa forza. Il primo verbo è rādāh il cui significato concreto sembra essere «calpestare, schiacciare» come si fa con l’uva (Gl 4,13), per estensione, in contesti di forte ostilità, assume il significato di «dominare». Il verbo è inoltre impiegato per descrivere il potere sovrano di un re (cf. (1 Re 5,4; Sal 110,1). L’altro verbo è kāḇaš, al versetto 28, evoca la sottomissione della terra. Il suo significato è alquanto crudo perché indica l’assoggettamento dei vinti (Nm 32,29; 2 Sam 8,11) oppure l’asservimento degli schiavi (Ger 34,11.16). Il potere che Dio chiede al terrestre è decisamente connotato dalla forza, a immagine della potenza che Egli stesso ha impiegato per separare ed organizzare gli spazi. Tutto questo significa che Dio ha consegnato al terrestre un potere senza limiti?

Le cose non sembrano essere così! Infatti Dio riprende a parlare al versetto 29a («E disse Dio…») per assegnare al terrestre e a tutti gli animali selvatici… il proprio cibo che è, innanzitutto, vegetariano e poi diverso per il terrestre e per gli animali: al terrestre assegna in cibo i cereali e i frutti degli alberi, mentre gli animali ricevono per cibo la verdura (vv. 29-30).

²⁹«Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra, e ogni albero fruttifero che produce seme: saranno il vostro cibo. ³⁰ A tutti gli animali selvatici, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli esseri che strisciano sulla terra e nei quali è alito di vita, io do in cibo ogni erba verde».

Questo secondo discorso divino è strano per due ragioni. Innanzitutto per la sua lunghezza e soprattutto per il suo contenuto che è irreale, al limite dell’assurdo, perché il narratore nel suo racconto finora si è sempre mostrato prossimo alla realtà che il lettore conosce e sperimenta: nessuno di noi ha mai visto un leone mangiare dell’erba e se oggi tra gli uomini qualcuno è vegetariano, non è certo la tendenza dei più. Tutto ciò significa che nel cibo vegetariano che Dio assegna e nella distinzione alimentare tra il terrestre e gli altri animali c’è un messaggio, nascosto dietro la superficie del racconto, che il narratore vuole veicolare.

Partiamo dal compito affidato al terrestre di dominare. Esso però lo deve fare rinunciando alla violenza, come quella insita nell’uccisione di un animale per cibarsi. Secondo la parola di Dio il terrestre non ha necessità, per alimentarsi, di mettere a morte un animale e di mangiarlo. Inoltre dato che gli animali godono di un regime alimentare vegetariano diverso da quello dell’umanità, il cibo non rappresenta un motivo di lotta tra di loro.

Così, se il terrestre lo vuole, il suo dominio sull’animale può essere completamente privo di violenza. Di colpo il cibo diventa un invito al governo “mite” del mondo. Così lo esprime P. Beauchamp: «Ciò che qualifica l’immagine, non è solo la supremazia ma, altrettanto, il modo in cui questo dominio viene esercitato. È il regime alimentare che presuppone appunto una forma pacifica di questo esercizio»2.

Se è corretta questa lettura del dono del cibo e della distinzione tra gli animali e il terrestre, allora quest’ultimo è chiamato a realizzarsi attraverso un “dominio” che non sia violento e totalitario, ma bensì contenuto e limitato così che il mondo animale trovi il proprio spazio che permetta pienamente lo sviluppo della vita. Pertanto secondo la prima pagina della Genesi spetta agli uomini, «creati» a immagine di Dio, darsi da «fare» per imparare a somigliare a questa immagine di cui portano la traccia.

L’umanità e la sua vocazione di pastore della mitezza

Da notare un fatto o meglio un’assenza: rispetto ai pesci creati al quinto giorno, gli animali legati alla terra e creati al sesto giorno non sono benedetti ma ricevono un cibo vegetariano. Partiamo da questo ultimo nato che letto sulla linea interpretativa proposta è molto significativo: se il mondo animale è pascolato da un pastore buono, sarà esso stesso impregnato di mitezza e gli animali non si mangeranno tra di loro (v. 30). Così l’umanità presiederà una creazione che vive la pienezza della pace e dell’armonia.

L’assenza della benedizione per gli animali legati alla terra come il terrestre è facilmente spiegabile: la benedizione viene, in un certo qual modo, affidata al potere degli uomini. Se, infatti, l’umanità ascolta l’invito divino a dominare con mitezza, gli animali terrestri saranno partecipi della sua benedizione e come i loro simili nei cieli e nei mari (cf. v. 22), anch’essi potranno «fruttificare e moltiplicare».

Questo secondo discorso di Dio assume un connotato profetico che trova eco in altri passi della Bibbia, uno fra tutti quello del profeta Isaia 11,6-9:

⁶Il lupo dimorerà insieme con l’agnello; il leopardo si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un piccolo fanciullo li guiderà.
⁷La mucca e l’orsa pascoleranno insieme; i loro piccoli si sdraieranno insieme. Il leone si ciberà di paglia, come il bue.
⁸Il lattante si trastullerà sulla buca della vipera; il bambino metterà la mano nel covo del serpente velenoso.
⁹Non agiranno più iniquamente né saccheggeranno in tutto il mio santo monte, perché la conoscenza del Signore riempirà la terra come le acque ricoprono il mare.

Il narratore di Genesi fin dall’origine proclama un mondo in armonia con il suo Creatore, un mondo che gode dello shalom (cf. 11,6-9; 65,25; cf. Os 2,18).

Questo è il mondo che Dio «vede» non solo buono ma «molto buono». La tradizione rabbinica ha letto nell’ultimo ritornello del versetto 31 la gioia di Dio:

La gioia del Santo, benedetto egli sia, non fu poca quando creò il mondo. Ci fu grande gioia davanti a lui come è detto: Gioisce il Signore delle sue opere (Sal 104,31). E dice: Dio vide tutto ciò che aveva fatto, ed ecco, era molto3.

Una gioia che non è solo rivolta al passato ma aperta al futuro come Regno dei cieli:

R. Shimon ben Laqish disse: Ecco, era assai buono: questo è il Regno dei cieli (Berešit Rabbâ, IX, 13).


  1. La forma del verbo «e dominino…» può servire a indicare lo scopo. Si potrebbe tradurre: «A nostra immagine, come nostra somiglianza, affinché dominino…».
  2. P. Beauchamp, Creation et fondation de la Loi en Gn 1,1-2,4a. Le don de la nourriture végétale en Gn 1,29s, in Id., Pages exégétiques, (Lectio divina 202), Cerf, Paris 2005, 117, cf. anche tutto l’articolo pp. 105-144.
  3. Tanchuma Buber, Shemini 3.

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