Gen 2,18-25: secondo settenario, sguardo d’insieme

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Prima di procedere alla lettura puntuale del testo, credo utile dare una visione globale della scena attraverso la sua struttura. Come nel primo settenario anche qui Yhwh Elohim è protagonista di sette azioni: v. 19: plasmò (wayyiṣer), condusse (wayyāḇēr); v. 21: fece scendere (wayyappēl) , tolse (wayyiqqaḥ), rinchiuse (wayyisgōr); v. 22: plasmò (wayyiḇen), condusse (wayᵉḇiʾehā). Esse sono introdotte da un discorso divino che lo potremmo considerare come un suo pensiero fatto ad alta voce, dato che il verbo dire, che lo introduce, è senza complemento di termine.

Struttura e sua spiegazione

A. Introduzione: discorso di Yhwh Elohim (v. 18)
a. constatazione di una mancanza: non bene, la solitudine del terrestre
b. decisione di fare un «soccorso come di fronte a lui».

B. Primo tempo: gli animali (vv. 19-20a)
c. azione divina: modella gli animali – li presenta all’umano
d. reazione dell’umano: nomina gli animali

A’. Intermezzo: non c’è «soccorso come di fronte a lui» (v. 20b)

B’. Secondo tempo: uomo e donna (vv. 21-23)
c’. azione divina: + torpore del terrestre, presa di un lato costruisce la donna – la presenta al terrestre
d’. reazione del terrestre: nomina la donna (e l’uomo)

A”. Conclusione: discorso del narratore (vv. 24-25)
b’. possibilità di vivere bene la mancanza: essere una sola carne
a’. constatazione finale: «loro due… il terrestre e la sua donna».

Tutto inizia con la constatazione che fa Yhwh Elohim dopo il comando al terrestre: «Non bene che il terrestre sia alla sua solitudine» (2,18a). Una siffatta introduzione fa pensare che il narratore stia rivelando un pensiero del personaggio divino perché manca il complemento di termine al verbo ʾāmar, «dire».

Lo schema mostra che il racconto procede con regolarità grazie a delle corrispondenze e sembra che alla mancanza constata il racconto risponda in due tempi posti fra loro in parallelo (cf. B e B’). In entrambi i momenti Yhwh Elohim procede con due azioni complementari: la prima di creazione – plasma gli animali e costruisce la donna –, l’altra di presentazione al terrestre con un’identica espressione: «E fece venire verso il terrestre» (cf. vv. 19 e 22). Quest’ultimo reagisce prendendo la parola per dare il nome agli animali e per elevare un “canto”. Da notare che il secondo tempo è più elaborato: l’atto creativo è preceduto da un’azione preparatoria (l’operazione «sotto anestesia»), mentre la reazione del terrestre ha qualcosa di più solenne, espresso in modo adeguato da un linguaggio poetico.

Entrambe le parti sono seguite da un intervento del narratore che informa sul progresso o meno del progetto di Yhwh Elohim. Dopo la creazione degli animali, egli registra un fallimento rispetto al progetto iniziale del quale riprende i termini: «Non trovò soccorso come di fronte a lui» (cf. v. 19b). La parte finale è più complessa: il v. 24 costituisce verosimilmente un’indicazione del narratore sul modo in cui la relazione attesa può allacciarsi tra uomo e donna, mentre il «loro due» nella constatazione finale registra perlomeno che la solitudine del terrestre si è conclusa con l’arrivo della donna.

All’inizio c’è una mancanza che continua ad esserci anche a metà strada, creando una tensione drammatica o «frustrazione ottimale» che innesca il prosieguo del racconto, proiettandolo verso la creazione della donna.

Non è bene…

¹⁸ E il Signore Dio disse tra sé e sé: «Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda».

וַיֹּאמֶר יְהוָה אֱלֹהִים לֹא-טוֹב הֱיוֹת הָאָדָם לְבַדּוֹ אֶעֱשֶׂהּ-לּוֹ עֵזֶר כְּנֶגְדּוֹ׃

Nel suo soliloquio interiore Yhwh Elohim constata una mancanza: «Non è bene che il terrestre sia solo» (lōʾ-ṭôḇ hĕyôt hāʾādām lᵉḇaddô v. 18a) e subito si impegna a trovarne una risposta: «Voglio fargli un aiuto che gli corrisponda» (ʾeʿĕśeh-llô ʿēzer kᵉnegdô v. 18b). Il vocabolo ʿēzer compare nell’AT 21 volte e nella massima parte dei casi è un predicato che ha Dio come soggetto sia nel senso soggettivo di «aiuto di Dio» (cf. Dt 33,26; Os 13,9; Sal 20,3; 89,20; 121,1.2; 124, 8; Dn 11,34), sia in quello di titolo divino (cf. Es 18,4; Dt 33,7.29; Sal 33,20; 70,6; 115,9.10.11; 146,5). Il termine ebraico poi esprime qualcosa di indispensabile per superare la solitudine e non di facoltativo; inoltre si tratta di un sostegno o un appoggio che solo una persona può offrire all’altra (cf. Qo 4,9-11). Di conseguenza l’aiuto progettato da Yhwh Elohim per sottrarre il terrestre alla solitudine mortifera è una relazione, la quale viene descritta in questi termini: kᵉnegdô, vale a dire «come di fronte a lui»1.

L’espressione kᵉnegdô è una frase preposizionale costruita con una preposizione composta da due preposizioni (kᵉ+neged) e seguita dal pronome suffisso di terza persona maschile. La preposizione kᵉ, «come», porta in sé l’idea di somiglianza, invece la preposizione neged, «di fronte a», quella di «opposizione». Ne consegue che la preposizione composta esprime sia complementarietà e somiglianza e quindi pari dignità e uguaglianza, sia alterità e irriducibilità. Nel pensiero divino l’aiuto che verrà formato non potrà mai essere completamente definito a partire dall’ʾādām (il terrestre): il nuovo essere sarà «simile», ma non sarà mai una sua «fotocopia».

Inoltre, la preposizione neged rimanda alla radice verbale nāgad, «raccontare». L’aiuto quindi è quell’essere di fronte al quale il terrestre si potrà «raccontare» e «dire»; in tal caso l’«aiuto» diventerà un essere «corrispondente», un essere «rispondente»2.

Prima risposta: la creazione degli animali

¹⁹ Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di animali selvatici e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. ²⁰ Così l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli animali selvatici, ma per l’uomo non trovò un aiuto che gli corrispondesse.

‏וַיִּצֶר֩ יְהוָ֨ה אֱלֹהִ֜ים מִן־הָֽאֲדָמָ֗ה כָּל־חַיַּ֤ת הַשָּׂדֶה֙ וְאֵת֙ כָּל־ע֣וֹף הַשָּׁמַ֔יִם וַיָּבֵא֙ אֶל־הָ֣אָדָ֔ם לִרְא֖וֹת מַה־יִּקְרָא־ל֑וֹ וְכֹל֩ אֲשֶׁ֨ר יִקְרָא־ל֧וֹ הָֽאָדָ֛ם ‏נֶ֥פֶשׁ חַיָּ֖ה ‏ ה֥וּא שְׁמֽוֹ׃

Alla deliberazione divina segue la creazione degli animali che richiama, in una sorta di parallelismo, quella del terrestre:

  • Yhwh Elohim plasmò il terrestre con la polvere del suolo (2,7).
  • Yhwh Elohim plasmò dal suolo tutti gli animali del campo (2,19).

Il confronto fra i due versetti mostra che Yhwh Elohim ha creato «qualcosa» di effettivamente corrispondente al terrestre e questo è ancor più marcato dall’utilizzo dello stesso verbo «plasmare» (yāṣar) nelle due opere.

Il mondo umano, quello animale e quello vegetale sono accumunati tra loro perché hanno lo stesso Creatore e la stessa materia di provenienza, «il suolo» ʾădāmâ, ma differiscono in quanto processo creativo (dettato dalle forme verbali): dalla terra/suolo Yhwh Elohim plasma il terrestre (2,7) e gli animali (2,19), ma fa spuntare le piante (2,9). Inoltre, a differenza e in contrasto con la creazione del terrestre (ʾādām), quella del mondo vegetale e animale viene subito ulteriormente specificata: del mondo vegetale si dice immediatamente della presenza dell’«albero della vita» al centro del giardino e quello della «conoscenza del bene e del male»; mentre il mondo animale viene specificato negli animali del campo e negli uccelli dell’aria. Queste creature della terra e dell’aria richiamano la divisione del cosmo con cui era iniziato il secondo racconto di creazione3.

A differenza del mondo vegetale, gli animali hanno in comune in più con il terrestre il loro essere dei viventi (nefeš ḥayyāh v. 19b). L’espressione aveva già qualificato il terrestre quando Yhwh Elohim gli aveva insufflato l’alito di vita. Alla creatura umana, però, è chiesto di esercitare sul mondo animale un potere che ha sempre in Yhwh Elohim il suo datore. Infatti Yhwh Elohim plasma «le bestie del campo» e gli uccelli del cielo e poi li conduce al terrestre perché imponga loro il nome. L’espressione all’infinito «per vedere come li avrebbe chiamati» di 2,19a è una vera e propria cessione di potere: se precedentemente era Yhwh Elohim che conduceva l’azione dall’inizio alla fine, qui Egli delega alla creatura umana, tanto che al v. 20a il terrestre, come protagonista assoluto, impone il nome agli animali: «Il terrestre impose il nome a tutti gli animali domestici, agli uccelli del cielo e alle bestie del campo» (v. 20a).

Da notare che oltre alla due categorie distinte dal Creatore, il terrestre ne aggiunge una e la mette al primo posto: sono «tutti animali domestici» (kŏl-habbᵉhēmāh). C’è in questa distinzione e classificazione il tentativo del terrestre di scegliere quegli animali in grado di farli compagnia e aiutarlo.

Nonostante il potere e la responsabilità a cui è chiamato l’essere umano, il narratore constata la permanenza della sua solitudine dovuta alla mancanza dell’«aiuto che gli corrisponda» (cf. v. 20b). Questo è un male perché la cintura della solitudine non è stata rotta. Lo sarà con il secondo tentativo che si concluderà con un monologo del terrestre (v. 23) seguito dal commento del narratore che attesterà il raggiungimento dello dell’obiettivo non senza un avvertimento implicito (v. 24)

Il ritardo risponde a una strategia drammatica tesa a sottolineare come la vocazione del terrestre non sia la solitudine: Yhwh Elohim gli ha trovato una partnership all’altezza, che permetterà a uomo (ʾîš) e donna (ʾiššāh) di scoprire il mistero di comunione che gli lega («e saranno una carne unica»: v. 24c).

La comunione e la connaturalità, il dialogo libero e rischioso che supera le barriere della solitudine, sono resi possibili dall’opera creatrice di Dio che ha pensato il terrestre «uomo» (ʾîš) e «donna» (ʾiššāh). L’ambito fondante della relazione fra uomo e donna è la relazione tra Yhwh Elohim e il terrestre.


  1. Per un effetto di rima, questa parola composta fa eco, opponendovisi, al termine «alla sua solitudine»: lᵉḇaddô // kᵉnegdô.
  2. Cf. Wénin, Da Adamo ad Abramo, 51-52.
  3. «Queste sono le origini del cielo e della terra…» (2,4b). In perfetta armonia con l’andamento della trama Yhwh Elohim forma gli stessi uccelli dalla terra. Notiamo poi l’assenza dei pesci del mare, presenti in Gen 1, ma qui giustificata perché non si parla mai della creazione del mare. Infine, manca la differenziazione sessuale degli animali che corrisponde alla non differenziazione del terrestre.

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