Tutti a Gerusalemme! Il sogno di Isaia: Is 2,1-5

Il profeta Isaia ci farà spesso compagnia lungo il cammino dell’avvento che si apre davanti noi e del natale. Il libro che porta il suo nome è in realtà una raccolta di oracoli di tre profeti, vale a dire gli oracoli appartengono a tre periodi distinti e distanti fra loro della storia di Israele1.

Leggiamo il testo tratto dal secondo capitolo del libro:

¹ Messaggio che Isaia, figlio di Amoz, ricevette in visione su Giuda e su Gerusalemme.
² Alla fine dei giorni, il monte del tempio del Signore sarà saldo sulla cima dei monti e s’innalzerà sopra i colli, e ad esso affluiranno tutte le genti. ³ Verranno molti popoli e diranno: «Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci insegni le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri». Poiché da Sion uscirà la legge e da Gerusalemme la parola del Signore. ⁴ Egli sarà giudice fra le genti e arbitro fra molti popoli. Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra. ⁵ Casa di Giacobbe, venite, camminiamo nella luce del Signore.

Isaia profeta

Il brano proposto come lettura nella prima domenica di Avvento fa parte della prima parte. Qui il profeta è una persona eminente di Gerusalemme, appartiene all’aristocrazia della città, ha libero accesso alla corte del sovrano dal quale è stimato ed è personalmente coinvolto nella vita religiosa e politica del suo popolo. Per quarant’anni svolgerà con passione e fedeltà il compito affidatogli da Dio: annunciare la sua parola. L’epoca in cui vive – la seconda metà dell’VIII secolo a.C. – è piuttosto burrascosa: in tutto l’antico Vicino Oriente si alternano momenti di tranquillità e periodi turbolenti con invasioni, devastazioni e deportazioni da parte della potenza assira che domina la scena internazionale.

L’oracolo proposto oggi è stato pronunciato da Isaia all’inizio della sua attività profetica. Il contesto è un’accorata denuncia contro la corruzione religiosa del suo popolo. I pellegrini si recano numerosi al tempio di Gerusalemme per sciogliere i loro voti e rendere culto al Signore con canti, preghiere, solenni liturgie. Il profumo degli incensi e degli olocausti sale incessante al cielo. Tutto lascerebbe intendere che la pratica religiosa sia impeccabile e che Dio non abbia nulla da eccepire. Invece – per bocca del profeta – ecco la sua inopinata e perentoria condanna:

Che m’importa dei vostri sacrifici senza numero? Smettete di presentare offerte inutili! Non posso sopportare delitto e solennità, detesto i vostri noviluni e le vostre feste… Imparate a fare il bene… soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova» (Is 1,11-17).

Questa dura requisitoria si conclude con un grido di dolore: «Ah, Come mai la città fedele è diventata una prostituta!» (Is 1,21).

È in questo contesto che il profeta introduce l’annuncio di un evento straordinario e inatteso, che si realizzerà in un remoto futuro. Non lo descrive in modo puntuale e circostanziato, come se si trattasse di un fatto di cronaca, ma lo tratteggia con immagini poetiche. Come rapito in estasi e con lo sguardo fisso verso la fine dei tempi, pronuncia il suo oracolo. Ecco – dice – un giorno il monte del tempio del Signore si eleverà al di sopra di tutti i monti e di tutti i colli e diverrà il punto più alto della terra.

Sulle alture di tutta la regione siro-palestinese c’erano templi dedicati alle divinità. Uno dei più celebri era quello di Baal sul monte Sapanu, sacro agli abitanti di Ugarit, monte dell’estremo nord con il quale il Sion si sentiva in competizione. Con espressioni solenni gli israeliti celebravano la superiorità del luogo sacro a Signore: «La tua santa montagna, altura stupenda, è la gioia di tutta la terra. Il monte Sion, vera dimora divina, è la città del grande re» (Sal 48,3-4).

Nella sua visione, il profeta osserva tutti questi monti sacri e vede che si abbassano fino a scomparire, sovrastati dal monte del tempio, verso il quale l’intera umanità ora volge lo sguardo perché solo da Sion può attendersi la salvezza. Poi il profeta scorge una folla immensa di pellegrini di ogni popolo, razza, lingua e nazione (v. 2), che si dirige verso il santuario. Hanno forse rinunciato a salire sui loro monti attratti dalle pratiche religiose degli israeliti? No, non si recano a offrire sacrifici, olocausti e incensi che il Signore ha appena ripudiato. Salgono al tempio del Dio di Giacobbe per ascoltare la parola del Signore e apprendere «le sue vie» (v. 3).

Su di te sia pace!

Frutto di questo accostarsi al Signore e dell’ascolto della sua parola è la pace, descritta con immagini suggestive (v. 4). Gli strumenti di morte – le spade e le lance – sono trasformati in mezzi di produzione, in vomeri e in falci. Le risorse del creato che Dio ha messo a disposizione dei suoi figli cessano di essere impiegate per il male, per costruire strumenti di morte, e sono poste a servizio della vita. La storia dell’umanità che è stata un susseguirsi di violenze e di soprusi diviene il regno della giustizia e delle benedizioni di Dio.

Oracoli simili sono risuonati anche in altri paesi e in altri popoli. Sono innumerevoli le iscrizioni ritrovate su stele e i testi letterari che celebrano le imprese gloriose dei faraoni e dei sovrani dell’antico Vicino Oriente: annunciano tutti la pace. L’ascesa al trono del nuovo re era sempre salutata come l’inizio dell’età dell’oro. Un canto su Ramses IV, in un linguaggio quasi messianico, proclama: «Coloro che avevano fame sono stati saziati e sono allegri, coloro che erano ignudi sono vestiti di lino fine, coloro che erano in prigione sono stati liberati, coloro che litigavano in questo paese si sono rappacificati». Eppure, proprio nel giorno in cui si autoproclamava pacificatore del mondo, il faraone scagliava ritualmente una freccia verso ognuno dei quattro punti cardinali: gesto con cui intendeva terrorizzare chiunque avesse in mente di attaccare il suo paese. Prometteva la pace, ma continuava a ritenerla possibile solo con la minaccia dell’impiego della forza, con l’ostentazione della potenza delle armi. Oggi come ieri le potenze mondiali non fanno diversamente: promettono la pace eppure è notizia fresca la ripartenza della corsa per avere la super arma atomica.

La pace sognata da Isaia

Isaia annuncia una pace diversa, non basata sulle astuzie, sui calcoli umani, ma sull’adesione di tutti i popoli – convocati nella «città della pace» – alla parola del Signore. Questa parola cambia i cuori; gli uomini che la accolgono cessano di costruire delle Babele e rinunciano per sempre all’aggressività e all’uso delle armi.

I cristiani hanno visto realizzarsi questa profezia quando, in Gesù, è apparsa nel mondo “la Parola” di pace. Egli «è la nostra pace, è venuto ad annunziare la pace, pace a coloro che erano lontani e pace a coloro che erano vicini» (Ef 2,14.17). Fin dai primi secoli gli uomini si sono prodigati a smentire questa interpretazione. Hanno detto che Gesù di Nazaret non poteva essere il vero messia, il pacificatore annunciato dai profeti, perché il mondo nuovo non era ancora apparso. Non continuavano forse gli odi, le violenze, le guerre, le disgrazie, i lutti e i pianti?

L’obiezione è seria, ma nasce da un malinteso. Il regno di Dio, la pace universale, non si instaura miracolosamente, senza la collaborazione da parte dell’uomo e si sviluppa lentamente, come il piccolo seme che impiega anni per divenire un grande albero. Gli «ultimi giorni» di cui parla Isaia (v. 2) – noi cristiani ne siamo certi – sono già iniziati, le sue promesse hanno cominciato a compiersi nel Natale.

I Padri della Chiesa dei primi secoli erano ben coscienti di questo. «Gli altri uomini – dichiarava Origene – continuano a impugnare la spada, ma noi siamo un popolo che si rifiuta di imparare l’arte della guerra; attraverso Gesù siamo diventati i figli della pace» (Origene, Contra Celsum, V,33). Giustino rispondeva al rabbino Trifone: «Sebbene fossimo ben esperti in fatto di guerra, di assassinio e di ogni specie di mali, abbiamo trasformato su tutta la terra i nostri strumenti di guerra: le spade in aratri, le lance in falci; e ora costruiamo il timor di Dio, la giustizia, l’umanità, la fede e la speranza, quella speranza che ci viene dal Padre» (Giustino, Dialogo con Trifone, 110,2s). Ireneo era ancora più esplicito; «Ormai non vogliamo più combattere ma, se qualcuno ci colpisce, porgiamo l’altra guancia. Se tutto questo avviene, allora i profeti non hanno parlato di nessun altro che di colui che ha realizzato tutte queste cose: Gesù di Nazareth, il nostro Signore» (Ireneo, Adversus Haereses, IV 34,4). La testimonianza più bella la danno i martiri cristiani che a differenza di quelli di altre religioni l’unico sangue che lasciano sgorgare è il proprio.

Il mondo di pace si instaurerà certamente, ma la sua costruzione sarà tanto più rapida quanto più decisa sarà la scelta dell’umanità di volgersi a Cristo, di salire sul monte dove egli propone le sue beatitudini e di lasciarsi istruire dalla sua parola.


  1. Il primo Isaia (quello della prima raccolta) è un profeta dell’VIII sec. a.C.; il secondo risale al VI sec. a.C.; il terzo è ancora più recente.

1 commento

  1. Le parole di Isaia sembrano delle utopie ma Cristo ne ha fatto una realtà. Certo è difficile pensare ad una pace universale guardando alla nostra realtà ma, questi tempi non sono diversi dai tempi passati perché sono tempi dell’uomo e l’ uomo peccatore non può covare altro che questo. La novità del regno di Dio è espressa nei versetti che dicono della trasormazione che subiscono le armi. Nella mia Bibbia si dice non cambieranno ma, forgeranno. Forgeranno le loro lance in aratri e lo stesso accade alle lance. Forgiare è un gran senso di trasformazione. Il metallo che viene forgiato viene immerso nel fuoco ardente fino a farlo incandescente ed allora accade che a colpi di mazza viene data la forma voluta. Cosa vuol dire questo? Vuol dire che solo lo Spirito Santo( il fuoco) può cambiare lo stato della materia e questa investita dal calore diventa maleabile e cambia forma. È lo stesso metallo ma diventa altro. Questo è ciò che accade all’uomo che riceve la grazia dello Spirto Santo che Cristo è venuto a donarci. Tutto questo è un’ utopia? No! Questo è ciò che l’ incarnazione è venuta a realizzare. È come un seme ma noi non riusciamo a vederne il disegno ultimo ma sarà così, sarà quando il piccolo seme sarà una pianta e riempirà la terra e ogni uomo vi troverà riparo. Noi siamo depositari di questo seme e di questa promessa a noi il compito di farlo crescere affinché diventi. albero

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