HomeAnno ANel segno di un bambino la presenza di Dio: ls 7,10-14

Nel segno di un bambino la presenza di Dio: ls 7,10-14

In quei giorni, ¹⁰il Signore parlò ad Acaz: ¹¹«Chiedi per te un segno dal Signore, tuo Dio, dal profondo degli inferi oppure dall’alto». ¹²Ma Acaz rispose: «Non lo chiederò, non voglio tentare il Signore». ¹³Allora Isaia disse: «Ascoltate, casa di Davide! Non vi basta stancare gli uomini, perché ora vogliate stancare anche il mio Dio? ¹⁴Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele».

Questo oracolo di Isaia è uno tra i più conosciuti anche perché è stato riletto dall’evangelista Matteo come una profezia del concepimento verginale di Gesù. Prima di indagare il significato originario dell’oracolo e la successiva attualizzazione fatta dall’evangelista, è necessario ricostruire per sommi capi il contesto storico in cui è stato pronunciato. Siamo nell’VIII secolo a.C, il tempo in cui l’Assiria, super potenza del momento, domina in modo spietato su tutto l’antico Vicino Oriente e impone pesanti tributi a tutti i popoli che ha sottomesso.

La paura è una cattiva consigliera

Approfittando di un momento di crisi dinastica in atto nell’impero assiro, il re di Aram e il re di Israele si alleano nel tentativo di liberarsi dal giogo tirannico cui sono stati assoggettati e, per riuscire nel loro intento, ritengono sia indispensabile coinvolgere nell’impresa anche il regno di Giuda, piccolo, ma strategicamente importante. A Gerusalemme regna Acaz, un discendente di Davide, un membro della dinastia cui Dio – per bocca del profeta Natan – ha assicurato un regno eterno: Io renderò stabile per sempre il regno della famiglia di Davide, non ritirerò mai da lui la mia protezione, il suo potere sarà stabile per sempre (cfr. 2 Sam 7,14-16).

È giovane Acaz – ha da poco passato i vent’anni – e quando gli viene proposto di affrontare l’Assiria rimane sgomento e si rifiuta di partecipare all’impresa.

A questo punto i due re del Nord decidono di detronizzarlo, di porre fine alla sua dinastia e di stabilire sul suo trono un sovrano fantoccio che condivida il loro progetto (cfr. Is 7,1-10). Quando i loro eserciti cominciarono a muoversi per attaccare Gerusalemme, Acaz rimase atterrito e il suo cuore e quello del suo popolo si agitarono, come si agitano i rami del bosco per il vento (cfr. 7,2).

Se fosse un uomo di fede, Acaz non avrebbe paura, invece, con la fede vacillante che si ritrova, non può che affidarsi a calcoli umani e così finisce per commettere un errore dopo l’altro. Valuta le forze militari in campo e conclude: verrò sopraffatto dagli eserciti dei re di Aram e di Israele.

Che fare? Fa la scelta peggiore: chiede protezione al re d’Assiria e, per ottenerla, gli consegna tutti i tesori del tempio e della reggia. Poi, in un momento di follia pseudo-religiosa, compie un crimine abominevole: immola all’idolo Moloc il proprio unico figlio (cfr. 2 Re 16,3).

La voce del profeta: primo tentativo

È a questo punto che interviene Isaia. Si reca con il figlio Seariasùb1 presso la piscina superiore, sulla strada del campo del lavandaio (Is 7,3), dove Acaz sta mettendo a punto la canalizzazione dell’acqua della città in vista dell’imminente assedio e, in nome di Dio, lo rassicura: Ciò che tu temi non avverrà e non accadrà (cfr. Is 7,8). Non è nell’Assiria che deve riporre la propria fiducia, ma nel Signore e nelle sue promesse. I nemici che lo terrorizzano non hanno alcuna consistenza, sono evanescenti come una nuvoletta di fumo che sale da due tizzoni bruciacchiati (cfr. Is 7,4). Nessuna paura, quindi, saranno spazzati via e la dinastia di Davide continuerà a regnare in Gerusalemme, per sempre, come il Signore ha promesso.

Purtroppo il re ormai ha perso ogni contatto con Dio, valuta la situazione unicamente in base a calcoli di strategia militare e questi lo portano a concludere che l’esercito assiro offre più garanzie che non Dio.

… secondo tentativo

Dopo alcuni giorni Isaia lo va a trovare di nuovo, questa volta nel palazzo. Il dialogo intercorso fra i due è riferito nel brano di questa IV domenica di Avvento. Se non credi alle mie parole – dice il profeta – chiedi a Dio un segno e ti verrà accordato (v. 11). Le parole del profeta oltre a essere inaudite sono pure un azzardo: Isaia invita Acaz a chiedere a Dio una prova. Nella liberazione dall’Egitto, nei prodigi dell’esodo, Israele aveva ricevuto molti segni della protezione del Signore, eppure non era mai rimasto pienamente convinto dell’amore del suo Dio e continuava a pretenderne altri. Come accade fra gli innamorati, Dio si era sentito intimamente offeso quando Israele – l’amata – aveva messo in dubbio il suo amore e lo aveva provocato chiedendo sempre nuove prove della sua presenza e della sua fedeltà.

Dio non sopporta questa sfiducia, ne rimane disgustato: Mi misero alla prova pur avendo visto le mie opere… Sono un popolo dal cuore traviato, non conoscono le mie vie (cfr. Sal 95,9-10). Si indigna addirittura, per cui ingiunge: Non tenterete il Signore vostro Dio come lo tentaste a Massa (Dt 6,16).

Acaz non è disposto a modificare la propria decisione, non vuole rimettere in causa la scelta fatta, non ha alcun interesse ad assistere a segni nei quali non crede e, per togliersi dai piedi il profeta che comincia a infastidirlo, gli risponde appellandosi al precetto: Non lo chiederò, non tenterò il Signore (v. 12). Sono parole ipocrite che provocano la reazione indignata di Isaia. Tu, Acaz – gli dice –, non sei che il peggior rampollo di una dinastia infedele e indegna che ha fatto esaurire non solo la sopportazione degli uomini, ma anche la pazienza infinita di Dio (v. 13). Lo chieda o no il re il segno, il profeta lo dà ugualmente: Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele (v. 14).

Il segno dell’Emmanuele

Che segno è mai questo? Qualcuno ha pensato che Isaia stesse annunciando, con sette secoli di anticipo, il concepimento verginale di Maria. Un simile segno non avrebbe avuto alcun senso per Acaz, quindi non è certamente questa l’interpretazione corretta. In realtà il testo ebraico non parla di vergine, ma di hāʿalmâ – che sarebbe più corretto tradurre con la ragazza, la giovane donna. Si tratta quindi di una donna ben identificata che altri non è che la giovane sposa del re.

Tua moglie – dichiara il profeta ad Acaz – avrà un figlio il cui nome sarà Emmanuele, che significa “Dio è con noi”. Questo figlio ti succederà sul trono, darà continuità alla tua dinastia, nessuno spodesterà né te, né lui, anzi, egli sarà un grande re, un nuovo Davide. Sarà la dimostrazione che Dio è con noi, che continua presente in mezzo al suo popolo ed è fedele alle sue promesse.

Nella seconda parte dell’oracolo, che non è riportata nella nostra lettura, Isaia ha completato la presentazione del segno parlando del bambino: Egli mangerà panna e miele finché non imparerà a rigettare il male e a scegliere il bene. Poiché prima ancora che il bimbo impari a rigettare il male e a scegliere il bene, sarà abbandonata la terra di cui temi i due re (Is 7,15-16).

Con un’immagine molto efficace, il profeta assicura Acaz che il suo regno non sarà invaso: nei primi due o tre anni di vita – fino quando cioè sarà in grado di distinguere ciò che è buono da ciò che è cattivo – al bimbo non mancheranno né il latte né il miele, perché gli eserciti dei due re nemici non occuperanno nessuna delle due parti del regno di Giuda: né le montagne (dove le capre producono il latte) né la pianura dove sono coltivate le palme da dattero da cui si ricava il miele. Anzi, prima ancora che il bimbo giunga ai tre anni, la terra dei due re nemici sarà devastata.

La rilettura evangelica del detto di Isaia

Come mai questa profezia è stata applicata a Maria? Coloro che hanno tradotto in greco l’Antico Testamento hanno reso hāʿalmâ-ragazza con parthénos-vergine. Questo ha permesso all’evangelista Matteo di vedere nel concepimento verginale di Maria la realizzazione di questo oracolo.

Come finì la storia di Acaz l’incredulo?

Si è conclusa come Isaia aveva previsto: fu un disastro sia politico sia religioso per il regno di Giuda. L’Assiria intervenne, sì, e ridusse a «tizzoni fumiganti» i re di Aram e d’Israele, ma Acaz fu umiliato, fu sottomesso a pesanti tributi e il suo regno divenne una colonia assira.

Il segno dato dal profeta si realizzò: il figlio di Acaz fu concepito dalla giovane sposa, fu dato alla luce e succedette sul trono del padre, dando continuità alla dinastia davidica. Si chiamava Ezechia, ma a lui si potè giustamente applicare il titolo di Emmanuele (= Dio è con noi). Fu il segno della presenza di Dio in mezzo al suo popolo e la prova della fedeltà del Signore alle sue promesse.

Fu un buon re, ma non il sovrano eccezionale che forse lo stesso Isaia si aspettava. Per questo, in Israele si cominciò ad attendere un altro figlio di Davide che adempisse pienamente la profezia, un re che fosse davvero il Dio con noi. Nel vangelo di oggi Matteo lo indicherà: è il figlio della vergine Maria.


  1. È un nome profetico che significa «un resto ritornerà».

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