Donne “divine”

Nota a margine dei primi due capitoli del libro dell’Esodo

Dio si appoggia sui deboli, sul quel che è umile e disprezzato nel mondo per svergognare i forti (cf. Ger 9,23; 1 Cor 1,26-29). Invece di utilizzare il potere in termini mondani (come dominio, sopraffazione), Dio agisce mediante persone prive di potere; anzi, queste sono difficilmente riconducibile a qualche forma di potere, come le donne nei primi due capitoli del libro dell’Esodo. La scelta di cinque donne in Es 1–2, le due levatrici egiziane (Sifra = «la bella» e Pua = «splendore» o «ragazza»), la figlia del faraone, la madre e la sorella di Mosè determina una scelta strategica di Dio per ciò che agli occhi del potere umano – declinato al maschile – appare come vulnerabile e di alto rischio.

Le donne però danno prova di saper fronteggiare con sagacia le spietate forme di potere sistematico rappresentato dal faraone. È per l’iniziativa generosa delle due levatrici che i bambini sono salvati quando vengono alla luce. È per il coraggio della madre di Mosè e di sua sorella che Mosè prima è tenuto nascosto e poi affidato al Nilo dentro una cesta che nel testo ebraico viene chiamata arca. Infine è per la prontezza di spirito della figlia del faraone che Mosè non è lasciato annegare nel Nilo.

Dio non è il soggetto di alcun verbo nelle varie imprese di questo manipolo di donne, mostrando così che Egli aveva visto giusto, affidando tutto se stesso e il suo progetto all’apparente vulnerabilità di questi personaggi femminili.

La figlia del faraone

Concentrandoci sull’azione della figlia del faraone è da notare che Mosè non solo è salvato da una donna (reputata una vulnerabile, una non atta a salvare), ma è pure straniera. Una non-israelita collabora in modo significativo all’opera divina per la vita e la benedizione. Ironia delle ironie è la figlia del faraone, il principale responsabile della macchina di morte.

Le azioni della figlia del faraone sono in diretto parallelo con quelle che Dio metterà in atto verso Israele (cf. Es 2,23-25; 3,7-8). La figlia del faraone agisce come Dio nei confronti di Mosè, mentre Dio agisce come la figlia del faraone nei confronti di Israele. La figlia del faraone scende, vede il bambino, ascolta il pianto, ha compassione, lo trae fuori dalle acque e provvede a tutte le sue necessità quotidiane. Dio farà lo stesso con il popolo:

Dio ascoltò il loro lamento, Dio si ricordò della sua alleanza con Abramo, Isacco e Giacobbe. Dio vide la condizione degli Israeliti, Dio se ne diede pensiero (Es 2,24-25).

Il Signore disse: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto (Es 3,7-8).

La figlia del faraone incarna valori umani fondamentali, come la compassione, la giustizia e il coraggio (cf. Es 1,12b), così come la rivolta attiva contro politiche inumane e crudeli, si rintracciano fra le creature di Dio indipendentemente da loro rapporto con Israele; questo è il risultato dell’azione di Dio nella creazione.

Portatrici di vita

Nelle iniziali circostanze dell’Esodo le donne giocano un importante ruolo di guida, il padre di Mosè è assente dal racconto, mentre vi si registra una grande varietà di linguaggio al femminile. Tutte e cinque le donne apparse sulla scena in Es 1–2 sono attivamente impegnate a proteggere la vita contro un governante che ha dimostrato di essere capace di immensa crudeltà.

Nello sfidare un sistema dominato dai maschi esse non solo contribuiscono alla prosperità dei figli d’Israele, ma mettono questo particolare bambino, destinato a diventare la guida d’Israele, in grado di emergere con la miglior preparazione possibile per questo compito. «Il coraggio delle donne è l’inizio della liberazione».

«Quel che le donne fanno per Mosè, Dio lo farà per tutto Israele». Le figlie sono le salvatrici dei figli.

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