La solitudine della scelta: Gen 3,6

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Il serpente smette di parlare ma la sua triplice promessa va a segno tanto che la donna conosce un mutamento interiore grazie al quale arriva a vedere (Gen 3,6) ciò che prima non vedeva o, meglio, a vedere la realtà con un’ottica differente.

Allora la donne vide che buono l’albero per mangiare e che desiderabile esso per gli occhi e bramato l’albero per avere conoscenza, prese del suo frutto e lo mangio, ne diede poi al suo uomo che era con lei e ne mangiò.

‏וַתֵּ֣רֶא הָֽאִשָּׁ֡ה כִּ֣י טוֹב֩ הָעֵ֨ץ לְמַאֲכָ֜ל וְכִ֧י תַֽאֲוָה־ה֣וּא לָעֵינַ֗יִם וְנֶחְמָ֤ד הָעֵץ֙ לְהַשְׂכִּ֔יל וַתִּקַּ֥ח מִפִּרְי֖וֹ וַתֹּאכַ֑ל וַתִּתֵּ֧ן גַּם־לְאִישָׁ֛הּ עִמָּ֖הּ וַיֹּאכַֽל׃

La donna vede l’albero come un bene di cui un altro la vuole privare e questo è sufficiente per renderglielo desiderabile: dietro la rapacità si nasconde un’angoscia, il timore di una privazione. La donna infatti vede che l’albero è

• buono da mangiare

• piacevole all’occhio

• desiderabile per acquistare saggezza (potere).

La prima parte del v. 6 è molto curata dal punto di vista della disposizione delle parole:

Allora la donne vide
che buono l’albero per mangiare
e che desiderabile esso per gli occhi
e bramato l’albero per avere conoscenza

Con tre proposizioni che in ebraico interrompono la catena narrativa1, la voce narrante comunica la percezione che la donna ha dell’albero, dopo il dialogo con il serpente. Le tre proposizione sono fra loro in parallelo e al centro ci sta l’albero, preceduto sempre da un qualificativo che via via si intensifica così da apparire alla donna sempre più allettante (bene, desiderabile, bramato), e seguito da un termine introdotto dalla preposizione lᵉ che palesa l’interesse crescente della donna. Tutto questo mostra come le parole del serpente facciano sempre più presa nella donna. Un confronto tra questo versetto e quello precedente mostra interessanti parallelismi nella ripresa dei termini.

v. 5 Elohim sa che v. 6 e la donna vide che
nel giorno in cui ne mangerete bene l’albero per mangiare
si apriranno i vostri occhi e che desiderabile esso per gli occhi
e sarete… conoscenti bene e male e bramato l’albero per avere conoscenza

Il confronto evidenzia come, attraverso le parole del serpente, l’albero catturi totalmente lo sguardo e l’interesse della donna. Il narratore usa due significative parole per descrivere quanto in lei accade: «desiderabile» e «bramato»2. La bramosia è una forza di attrazione che guida lo sguardo della donna, come se fosse ossessionata dall’oggetto desiderato, totalmente assorbita in esso3. I gesti che seguono non sono altro che un prolungamento di questo sguardo bramoso: il prendere e il mangiare danno sfogo al desiderio di accaparrare per avere a proprio ed esclusivo vantaggio (v. 6b):

E prese del suo frutto e lo mangiò e ne diede poi al suo uomo che era con lei e ne mangiò.

Due sono le osservazioni su questa seconda parte del versetto. La prima è l’assoluta mancanza di parola, tra donna e uomo non corre una parola4 ; lo stesso si era verificato in Gen 2,23 quando l’ʾadām ha imposto la sua logica alla donna e questa non ha aperto bocca; qui avviene ora l’esatto contrario: la donna prede e ne dà al «suo uomo» (lᵉʾîšāh), ma questi non reagisce. La seconda osservazione è la mancanza di convivialità: i due consumano il “frutto” dell’albero separatamente, uno successivo all’altro. Il pasto segno per eccellenza della comunione, dell’alleanza, qui è consumato nella desolazione della propria solitudine5.

La non accettazione del limite ha sprofondato i due in una solitudine che si paleserà nella scena successiva.


  1. In ebraico sono tre proposizioni nominali che interrompono la catena narrativa formata da wayyitol. Esse creano una sorta di pausa nel fluire delle azioni per attirare l’attenzione su un particolare.
  2. C’è una specie di percorso che la donna fa, HAMILTON, Genesis 1–17, 3470, lo descrive così: «The forbidden tree has tree commendable virtues. It is physically appealing (good for food), aesthetically pleasing (a delight to the eyes), and sapientially transforming (desirable in acquiring wisdom)». Cf. TRIBLE, The rhetoric of sexuality, 2246.
  3. WÉNIN, Da Adamo ad Abramo, 75 scrive: «Questo è proprio l’effetto della bramosia: attraverso il fascino dell’oggetto desiderato, l’essere umano è asservito dalla propria mancanza che diventa sua padrona. Riduzione in schiavitù di sé da se stesso. Idolatria. La bramosia non si accontenta di distruggere il soggetto nell’altro, come ho già detto. Inizia col privare di se stesso colui che brama».
  4. Come ben rileva la TRIBLE, The rhetoric of sexuality, 2256.
  5. Cf. ABD, II, 250-254, in particolare le pp. 252-253.

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