Perché due racconti della creazione? Prima parte.

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Prima di passare a commentare il secondo racconto della creazione ci prendiamo una pausa per farci una domanda: perché due racconti della creazione? Una risposta è stata data rimandando il primo racconto di Gen 1 alla tradizione sacerdotale e il secondo, quello di Gen 2-3, a quella detta yahwista, tra l’altro considerata quella più antica. Ma forse la risposta non è del tutto esauriente.

Le differenze

Iniziamo notando che i due racconti non sono una fotocopia l’uno dell’altro. Rispetto al racconto di Gen 1, che presentava la creazione strutturata in sei giorni con al vertice l’uomo e il tutto poi confluiva nel giorno di sabato secondo uno schema liturgico, il racconto di Gen 2–3 risulta simile e nello stesso tempo notevolmente diverso. Gen 2,4 è il versetto che fa da spartiacque:

4aQueste sono le origini del cielo e della terra, quando vennero creati. 4bNel giorno in cui il Signore Dio fece la terra e il cielo…

La prima parte della frase è la conclusione del poema precedente, mentre la seconda è l’inizio della nuova narrazione.

Le differenze che si possono osservare fra i due testi hanno fatto nascere l’ipotesi che essi provengano da diverse tradizioni e siano stati uniti insieme in una fase successiva, quando venne costituito il libro della Genesi così come l’abbiamo noi oggi.

Oltre alla differenza generale di stile, già vista per Gen 1, vi si riscontrano anche numerose differenze di vocabolario. Ci sono due modi diversi di parlare della divinità: nel primo capitolo viene sempre presentato come «Dio» (ʾĚlohîm), nel secondo invece si adopera la formula «Signore Dio» (Yhwh
ʾĚlohîm). Col termine «Signore» la CEI traduce convenzionalmente il tetragramma sacro YHWH, indicante il nome proprio di Dio, e così faremo d’ora in avanti anche noi. Proprio in forza di questo uso, la tradizione che impiegava preferibilmente il nome YHWH era stata chiamata «yahwista», mentre quella che usava solo il nome generico Dio/ ʾĚlohîm era detta «sacerdotale». In Gen 1, dunque, questo nome proprio non compare mai, ma sempre solo il nome comune Dio/ ʾĚlohîm . Gen 1 è decisamente un testo «sacerdotale»

Un altro piccolo particolare mostra una significativa differenza. Gen 1 si apre con la formula solenne: «In principio Dio creò il cielo e la terra» (Gn 1,1) e si chiudeva con una formula analoga: «Queste le origini del cielo e della terra» (Gn 2,4a). Invece il secondo racconto inizia invertendo i termini in una formula simile: «Quando il Yhwh Dio fece la terra e il cielo» (Gen 2,4b). Nell’ottica sacerdotale il cielo viene decisamente prima, perché comunica un senso di grandiosità universale. Questo perché l’interesse del narratore sacerdotale è rivolto a tutto il cosmo. Nel secondo racconto, invece, il narratore – che chiamiamo yahwista – si occupa solo dell’uomo e dell’ambiente in cui egli vive. Ecco perché mette al primo posto la terra.

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Nelle stesse formule d’apertura dei due racconti, inoltre, possiamo notare il cambio di vocabolario a proposito delle azioni attribuite a Dio: questo è importante, perché implica anche una diversa visione di Dio. Nella narrazione sacerdotale (Gen 1,1) si preferisce il verbo «creare» (bārāʾ), mentre il secondo racconto (Gen 2,4b) adopera il verbo «fare» (ʿāśâ). Tale differenza iniziale si ripropone in tutto l’andamento dei due testi. Infatti il linguaggio del primo è molto sobrio ed essenziale, attribuendo a Dio soprattutto il verbo «dire», per mostrare la potenza creatrice della «parola» divina («Dio disse…, Dio creò…»). Invece nel secondo racconto troviamo una numerosa serie di verbi che indicano azioni molto concrete e tipicamente umane: «Il Signore Dio fece, plasmò, soffiò, piantò, prese, pose, condusse, addormentò, tolse (una costola), richiuse (la carne), costruì, condusse, fece (vestiti)… ». In questo modo Yhwh Dio viene presentato ora come un vasaio, un giardiniere, un chirurgo, un sarto. Tecnicamente un simile procedimento letterario si chiama «antropomorfismo» e consiste nell’attribuire a Dio azioni e caratteristiche umane: si tratta, quindi, di un modo di parlare che, per far comprendere l’operare divino, ne parla alla maniera umana, confrontando la sua opera con le azioni comunemente conosciute dagli uomini.

Resta ancora da sciogliere l’interrogativo. Ma lo rimandiamo al prossimo post.

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